In questi giorni sta facendo discutere il valore d'inventario che il Demanio sta assegnando alle nostre montagne in vista del trasferimento delle relative competenze agli enti locali. Succede così che quattro picchi dolomitici vengano valutati complessivamente all'incirca 12.000 euro, il prezzo di un'utilitaria. Si parla di non meglio specificati parametri 'tecnici' utilizzati per le stime, ai quali gli amministratori locali ribattono, ovviamente, che dal loro punto di vista si tratta di valutazioni senza senso. E in effetti, altrettanto insensati sono i paragoni subito provenienti dalla cronaca giornalistica tra il prezzo di una vetta e quello di un bilocale a Cortina d'Ampezzo - ovviamente a tutto favore del secondo.
Per i beni per i quali non esiste un mercato (e le montagne rientrano in questa categoria, per il momento), e soprattutto per quelli a cui la comunità attribuisce un valore e un significato storico-culturale (e anche qui, almeno per ora, le montagne rientrano nella categoria) l'applicazione di parametri metrico-estimativi tradizionali per stabilire il valore è una evidente assurdità. Non si può valutare una montagna come un certo quantitativo di tonnellate di materia rocciosa. Una montagna è parte integrante della vita e della storia di una comunità, e questo ha un valore economico e sociale che è iniquo non misurare.
Si potrebbe obiettare che queste sono belle parole, ma che la 'dura realtà dell'economia' è ben diversa. Il punto è che qui di duro c'è più che altro l'ignoranza di cosa sia davvero l'economia. Gli economisti hanno infatti elaborato da anni metodologie appropriate per valutare i beni ambientali e culturali che non possono essere oggetto di transazioni di mercato. E l'hanno fatto sulla base di urgenze ben precise, quali la necessità di quantificare il danno provocato da importanti catastrofi ambientali - il caso scatenante è stato, in particolare, il disastro provocato in Alaska dal naufragio della petroliera Exxon-Valdez nel 1989. Come è possibile valutare quanto vale un patrimonio bio-ambientale unico come quello dell'Alaska gravemente danneggiato dalla fuoriuscita del petrolio? La risposta è offerta dal metodo della valutazione contingente, secondo cui il valore va calcolato tenendo conto di almeno tre componenti: il valore d'uso, ovvero il valore che deriva dall'utilizzo diretto della risorsa a fini collettivi (e che può anche essere nullo se la risorsa non viene utilizzata per preservarne l'integrità), il valore di opzione, ossia il valore che si attribuisce al fatto di poter disporre della risorsa nel futuro (ad esempio, il valore che attribuiamo alla possibilità che nel futuro quella risorsa naturale possa contribuire a preservare l'equilibrio eco-ambientale del pianeta, o la possibilità che essa contenga dei principi attivi naturali che nel futuro si riveleranno utili a curare una malatttia, ecc.) e il valore di esistenza (ovvero, il valore che si attribuisce alla risorsa per il semplice fatto di esistere - che nel caso di un bene di notevole significato culturale può essere molto alto).
Come si quantificano queste componenti del valore? Semplice: facendole valutare, con modalità opportune, ai diretti interessati, ovvero a coloro che possono essere a buon diritto ritenuti legittimi portatori di interessi nei confronti della risorsa da valutare (in primo luogo, naturalmente, la comunità locale). Le tecniche di valutazione sono relativamente semplici, e naturalmente tutt'altro che libere da controversie di carattere metodologico, ma un panel di esperti nominato dalla NOAA, la National Oceanic and Atmospheric Administration statunitense nel 1993, e comprendente due premi Nobel per l'economia di sicura autorevolezza come Kenneth Arrow e Robert Solow, pur dando delle raccomandazioni molto stringenti per l'effettiva applicabilità di questo metodo ne ha di fatto legittimato l'uso. Stiamo quindi parlando di una tecnica largamente in uso da vent'anni in tutto il mondo. Da noi, a quanto pare, a parte gli specialisti, non se ne sospetta l'esistenza, e a nessuno viene in mente di chiedersi se confrontare il valore di una montagna con quello di un appartamento abbia senso, se non c'è un modo di capire qualcosa di più.
Con tutta probabilità, se si fosse operata una seria valutazione contingente del valore dei picchi delle Dolomiti, si sarebbe scoperto che le montagne 'valgono' molto di più di un appartamento a Cortina, e che allo stesso tempo non ha alcun senso paragonare questi due valori. Quanto di tutto questo è emerso sulla stampa italiana? Zero. Cosa rimane? Che le montagne sono belle ma, economicamente, non valgono niente. Ma tanto, alla prova dei fatti, al di là del dispiacere del sindaco del paesello, che cosa cambia? Impuntarsi sul valore di una montagna è una roba da accademici (cioè, da oziosi nullafacenti), dirà qualcuno. Bene, allora rispondete alla seguente domanda: qual è la probabilità che in caso di un futuro danno ambientale in un contesto montano italiano l'indennizzo per la comunità, viste queste valutazioni ufficiali e comunque incontestate nel merito, sia praticamente nullo? Rispondetevi da soli. Con buona pace dei montanari. E avanti il prossimo pezzo di colore in cronaca.
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