Ho letto con attenzione le "Linee di indirizzo strategico per la ripianificazione del territorio" elaborate per L'Aquila e il territorio del Cratere dalla Struttura Tecnica di Missione nominata dal Commissario alla Ricostruzione post-sisma. Devo dire che sono abbastanza sconcertato, e proverò a spiegare concisamente il perché.
Il documento si apre con una ampia sezione di analisi socio-economica della situazione territoriale. La prima cosa che salta all'occhio è che, al di là di qualche riferimento sporadico alla "tragedia del 6 aprile", tutta l'analisi è condotta come se ci si dovesse occupare di una qualunque area in ritardo di sviluppo del mezzogiorno italiano. I dati relativi alle imprese, all'università, persino alla popolazione residente sembrano fare riferimento ad una situazione precedente al sisma. I dati sulla popolazione, in particolare, sono aggiornati a quanto contenuto nel Bilancio Demografico ISTAT al 30 novembre 2009: è un dato che misura gli effetti demografici prodotti dal sisma in questi mesi? Ne dubito, anche perché molti di questi effetti si sono prodotti e si continuano a produrre ben oltre il novembre 2009. Capisco che le fonti statistiche siano quelle, ma in un caso come questo non sarebbe utile avere un quadro attendibile della situazione attuale? E in particolare, quello che proprio vorrei sperare, visto che i dati demografici riportati nel testo sono precisi al livello dell'unità (quello della della popolazione aquilana, ad esempio, è 72.710) è che queste cifre, almeno, non comprendano anche i morti del 6 aprile. Statisticamente farebbe poca differenza, eticamente sarebbe davvero intollerabile.
Al di là di questo, comunque, l'analisi socio-economica del documento, malgrado si protragga per decine di pagine (che riportano per lo più informazioni derivate dalle statistiche ufficiali e dai documenti di pianificazione regionali) riesce, incredibilmente, a non menzionare praticamente MAI (e men che meno a fare i conti con) tutte le principali criticità che si riscontrano oggi sul territorio del cratere:
- l'incenerimento del tessuto di piccola-media impresa distrutto dalle difficoltà logistiche, dal crollo delle commesse, dalle scadenze fiscali, dal trasferimento delle attività stesse in aree meno problematiche;
- lo spopolamento prodotto dai trasferimenti dei nuclei familiari che hanno deciso di vivere altrove;
- lo sgretolamento del tessuto sociale prodotto dalla frammentazione connessa al piano emergenziale di riurbanizzazione (le C.A.S.E.) e soprattutto l'impatto che questa ha prodotto sulla popolazione anziana, sradicata dalle proprie, cruciali relazioni di prossimità e quindi molto più esposta che in passato al deterioramento della salute fisica e psicologica;
- la grave situazione dell'università (che il documento indica come motore dell'economia locale, ma facendo riferimento a grandezze economiche chiaramente riferite al pre-sisma!);
- l'incertezza circa l'entità e la destinazione delle risorse disponibili per la ricostruzione;
- il deterioramento drammatico dei tempi di spostamento causati dalla congestione delle poche vie di comunicazione disponibili;
- la mancanza di luoghi di aggregazione al di fuori degli spazi della grande distribuzione;
- il pendolarismo quotidiano di un gran numero di residenti costretti ad abitare temporaneamente in aree lontane dal luogo di studio e di lavoro;
- il disagio della popolazione giovanile.
Potrei andare avanti ma mi fermo qui. Che senso ha parlare di ripianificazione ignorando nel documento di indirizzo tutte le principali criticità a cui questa dovrebbe fare fronte? Il punto è che il documento, essenzialmente (al di là, ripeto, di qualche riferimento marginale), non sembra impostato per ragionare su un processo di ricostruzione post-sisma, quanto piuttosto per rilanciare una qualunque area depressa. E questo produce conseguenze pratiche di non poco conto.
In nessun punto del documento, ad esempio, si parla in modo concreto e sostanziale di un coinvolgimento attivo della popolazione residente al processo di ricostruzione del tessuto economico e sociale, contrariamente all'orientamento che prevale a livello internazionale. E in particolare le analisi mostrano chiaramente che la partecipazione nei processi di ricostruzione post-catastrofe non può e non deve limitarsi all'impiego di forza lavoro locale (fatto, anche questo, tutt'altro che garantito a L'Aquila) ma deve tradursi in un coinvolgimento attivo e responsabile della comunità locale nel processo decisionale a tutti i livelli. E' interessante notare come molte delle analisi disponibili in letteratura si riferiscano a casi di paesi in via di sviluppo. Se si raccomanda che nel processo decisionale vadano coinvolte popolazioni locali che tipicamente sono affette da basso grado di scolarizzazione e da varie forme di deprivazione socio-culturale, è veramente difficile capire perché questo non dovrebbe avvenire in Abruzzo, in un capoluogo di regione di un paese del G8, città universitaria, ricco di competenze locali.
E quali sono dunque le idee che vengono proposte per dare vita ad un nuovo modello di sviluppo locale, al Cratere del post-sisma? Al di là di alcune metafore prive di significato concreto e più vicine alla retorica da convegno che a veri indirizzi di politica territoriale (esaltare il ruolo di "cerniera" dell'Abruzzo rispetto ai vari corridoi logistici internazionali, dare vita alla "Città-territorio", trasformare il cratere in una "Piattaforma strategica"), le proposte sono essenzialmente due: migliorare l'accessibilità e la percorribilità dell'area, e promuovere il turismo e le produzioni locali di qualità. Vale a dire, né più né meno di ciò che un qualunque consulente di marketing territoriale avrebbe consigliato ad un qualunque territorio depresso del mezzogiorno d'Italia. Vale a dire, un modello di sviluppo locale che, nella sua monotematicità, nel dibattito internazionale appare obsoleto da tempo. Poi, naturalmente, si raccomanda di limitare il consumo di territorio e di ricostruire sui luoghi della città esistente, cioè ciò che gli aquilani chiedono incessantemente dal primo momento in cui si è potuto tornare a parlare di ricostruzione, e il contrario di ciò che si è fatto in pratica. Ma è già una buona notizia che, di fatto, il documento ammette che quelle scelte forse non sono state le migliori possibili. Ricostruire sul territorio già edificato, dunque. Ma con quali strumenti, con quali risorse, con quali priorità? Il piano, sostanzialmente, non lo dice. Forse un documento di indirizzo strategico farebbe meglio a parlare di questo piuttosto che riportare dotte ma controproducenti citazioni di Braudel (p. 80). Controproducenti perché gli estensori del documento, di fatto, fanno il contrario di quel che Braudel, il grande storico francese, raccomanda nel passaggio riportato nel documento. Braudel spiega che l'esistere di un territorio si fonda sulla sua identità differenziale rispetto ad altri. Peccato che in tutto il documento non ci sia nemmeno un frammento di vero ragionamento sull'identità possibile di questo territorio e su come fare in modo che essa possa essere plasmata dalla partecipazione attiva della comunità locale. Peccato che quello che viene invece suggerito è di adeguare al più presto e quanto meglio possibile il territorio al modello standard del turismo sciistico-gastronomico: la classica ricetta che nell'Italia montana è buona per tutte le occasioni (convegni, conferenze stampa, studi di fattibilità) e che però funziona solo dove già funzionava bene anche prima che qualcuno la suggerisse.
L'impressione è che questo documento sia stato prodotto senza avere una chiara cognizione della reale situazione locale. Per lunghi tratti, soprattutto nel cruciale capitolo 3 sulle linee di indirizzo strategico, si potrebbe tranquillamente sostituire la parola "Cratere" con qualunque altro toponimo del sud Italia e il ragionamento filerebbe lo stesso, anche perché molto dello spazio viene occupato per presentare considerazioni abbastanza accademiche e di scarsa rilevanza pratica, soprattutto se riferite alla drammatica quotidianità e all'ancora più drammatica ansia di futuro degli aquilani. Per non parlare dei problemi a cui facevo riferimento sopra, e che vengono del tutto ignorati.
Credo che l'Abruzzo, che il Cratere, che L'Aquila meritino qualche sforzo in più. E qualche barlume di idea vera, pensata per il contesto, che apra una prospettiva di futuro credibile.
E' tutto assolutamente vero. Sono rimasto sconcertato quando ho letto mesi fa queste tanto agognate linee di indirizzo strategico per la ripianificazione della città, per gli stessi motivi.
RispondiEliminaA me, ex studente di Architettura, sembrava di leggere una tesina di qualche studente zelante, ma con poche idee e molte frasi fatte a disposizione, per impressionare i non "dotti".
Di fatto il documento, pur in un mare di parole, non dice quasi nulla, e fa meschino ricorso ad una oscura terminologia tecnica, usata come paravento per non dire nulla ai cittadini (i veri destinatari di quella comunicazione), forse per prendere tempo..
Da che se ne parla, e benché ripianificare una città sia un'occasione che meriti un pool di urbanisti di qualità (cosa che ancora non accade, quando è di fatto l'unica soluzione possibile), non ho sentito una idea che fosse una, venire fuori da chicchessia.
Possibile che non si riesca a coniugare reale coscienza della situazione, spirito pragmatico e teorie urbanistiche moderne, adattando il tutto alla particolare specificità della situazione aquilana?
I cittadini dovrebbero pretendere molto di più da questa "struttura di missione". Quantomeno dovrebbe essere loro concesso di conoscere su cosa si sta lavorando veramente, al di là di fumisterie accademiche dietro cui si nasconde una non volontà di far sapere.