domenica 19 settembre 2010

Nel nostro interesse

Pensare che le persone possano essere motivate ad agire soltanto sulla base di incentivi monetari (premi e punizioni, oppure, se preferite le metafore, carota e bastone) è stupido, e se volete farvi un'idea del perché leggete questo. Ma se c'è una cosa ancora più stupida, è quella di utilizzare gli incentivi monetari senza tenere conto, per ignoranza o malafede, degli effetti più evidenti e prevedibili che essi indurranno sui comportamenti. La legislazione italiana, da questo punto di vista, è una miniera formidabile di esempi di leggi che stabiliscono schemi di incentivi che sembrano fatti apposta per produrre i comportamenti opposti a quelli che la legge stessa si prefigge di incoraggiare. Per cui non ci dovremmo stupire più di tanto se un esempio clamoroso di uso perverso degli incentivi monetari è rappresentato dalle remunerazioni dei nostri parlamentari.

Come mostra l'analisi presentata dal centro studi di Confindustria, l'indennità dei parlamentari in Italia è pari a circa cinque volte il PIL pro capite. Per farci un'idea, si può considerare che il rapporto indennità/PIL per l'Italia è il quadruplo di quello della Norvegia, il doppio di quello inglese, ed è superiore per più del 50% a quello americano - di fatto, non ha paragone con quanto accade in nessun altro paese economicamente avanzato:



Possiamo ritenere che questa situazione di assoluto privilegio dei parlamentari italiani sia una scelta deliberata che viene ripagata con una produzione legislativa di qualità comparabilmente superiore a quella di tutti gli altri paesi avanzati? Sarei proprio curioso di sapere chi sarebbe disposto a sostenerlo. Io mi limito a fornire qualche dato. 

-il 90% dei progetti di legge non supera l'iter parlamentare: per quanto non esista una relazione semplice tra il numero di leggi e l'efficacia dell'attività legislativa (anzi, un numero eccessivo di leggi finisce per limitarne le possibilità applicative), il fatto che la mortalità dei progetti di legge sia così elevata mostra una certa propensione dei nostri parlamentari a promuovere iniziative legislative velleitarie. 

- inoltre, si nota una crescente mancanza di congruenza tra le iniziative dei due rami del parlamento, che contribuisce ulteriormente alla frammentarietà e all'inefficacia dell'azione legislativa, e che è dovuta in buona parte alla stessa frammentazione interna degli orientamenti dei gruppi parlamentari. 

Quanto alle conseguenze pratiche dell'attività legislativa, consideriamo due semplici dati: 

- l'Italia è ventiseiesima nella EU27 per libertà economica (peggio di noi fa solo la Bulgaria, che peraltro è appena un posto sotto di noi) - il che vuol dire che negli ultimi anni quasi tutti i paesi ex socialisti della EU, partendo da situazioni molto, ma molto più arretrate delle nostre, sono riusciti a procedere nel processo di liberalizzazione molto più efficacemente di noi (per dare un'idea, la Romania ci sopravanza oggi di undici posizioni);

- l'Italia è novantaduesima (!!) nel ranking dell'indice di competitività globale del World Economic Forum per la qualità del contesto istituzionale (il che vuol dire, più o meno, un livello da paese del Terzo Mondo) - e in particolare è centodiciottesima (!!!) per l'efficienza del suo mercato del lavoro e centounesima (!!!) per capacità di fornire sostegno finanziario allo sviluppo di progetti imprenditoriali (un paese, nota bene, che ha gruppi bancari di dimensione europea). Altri fattori che pesano negativamente sulla qualità del nostro ambiente istituzionale secondo la valutazione del World Economic Forum sono gli alti livelli di corruzione, l'incidenza del crimine organizzato, la mancanza di indipendenza del sistema giudiziario.

Ci sarebbe allora qualche margine per intraprendere una iniziativa legislativa più efficace, o no? Il punto è che, a fronte di questa performance per così dire poco soddisfacente del nostro sistema legislativo, lo schema di incentivi legato alla remunerazione monetaria non fa che rafforzare le condizioni che producono questa inefficacia - per cui il puro costo della macchina parlamentare, per quanto rilevante e offensivo alla luce del reddito medio degli italiani, è quasi una minuzia rispetto all'incapacità di incidere legislativamente sui mali strutturali del nostro paese, che tengono lontani gli investitori stranieri e pregiudicano, come vediamo dai dati macroeconomici di questi ultimi anni, le nostre capacità di crescita - una specie di 'miracolo economico al contrario'.

Ma perché un livello di remunerazione così elevato dei parlamentari dovrebbe produrre effetti perversi? Semplice: proprio perché così elevata, la remunerazione parlamentare è di fatto molto più attraente del reddito che la stragrande maggioranza dei parlamentari potrebbe ottenere con qualsiasi attività alternativa, e peraltro è al riparo da ogni incertezza congiunturale visto che dal dopoguerra ad oggi è cresciuta ad un tasso medio del 10% annuo (e oltre tutto è cumulabile con molte altre forme di remunerazione, comprese alcune legate ad altri incarichi di natura politica): è, di fatto, una posizione di rendita. Per cui, chi ne beneficia sarà disposto a tutto pur di mantenerla, e diventerà quindi facilmente ricattabile da chi controlla la formazione delle liste elettorali. Per cui, i parlamentari che, in teoria, siedono nei loro scranni nel nostro interesse, in realtà fronteggiano una struttura di incentivi che li incoraggia a badare soprattutto al proprio interesse e a tenere in poco o nessun conto quello di coloro che dovrebbero rappresentare. Tanto per migliorare le cose, con la presente legge elettorale, come è noto, gli elettori non hanno alcuna voce in capitolo circa la riconferma dei parlamentari - e quindi, a maggior ragione, la cura del bene pubblico è di fatto fortemente disincentivata

Di fatto, dunque, noi italiani strapaghiamo i parlamentari con le nostre tasse perché si facciano i fatti propri e non tengano in alcun conto le nostre istanze. Non a caso, quando si paventa lo scioglimento anticipato delle camere, la minaccia di 'mandare tutti a casa' (e successivamente di non ricandidare i parlamentari poco accomodanti) viene pronunciata da chi ha interesse a farlo in modo pressoché esplicito e riportata con enfasi dagli organi di stampa come un fatto normale, anzi naturale: chi vorrebbe rinunciare a sedere sotto l'albero della cuccagna? Solo che questa naturalezza sarebbe quantomeno meglio controllabile riconducendo l'anomalia italiana entro i parametri internazionali. Senza contare quel che si potrebbe fare utilizzando in modo sensato piuttosto che sconsiderato gli incentivi monetari stessi. Ad esempio, ancorando in modo sostanziale (e non marginale) la remunerazione parlamentare alla performance macroeconomica del sistema paese (ai tassi di crescita e al livello del PIL pro capite, eccetera). Questo non basterebbe forse ad assicurare un'azione legislativa efficace, ma quantomeno creerebbe qualche incentivo a prendere iniziative per migliorare l'efficienza del sistema paese, piuttosto che a mettersi a disposizione di interessi costituiti che spesso e volentieri sono la causa principale dell'inefficienza stessa.

Ma naturalmente tutto questo ha poco a che fare con l'agenda politica di questi mesi, nei quali, peraltro, l'attività parlamentare è pressoché paralizzata, i parlamentari sono oggetto di una compravendita esplicita per tenere in piedi la maggioranza, e c'è quindi chi passa notti insonni a valutare da che parte stare per capitalizzare quanto meglio possibile la propria scelta in termini di benefici personali presenti e futuri, perché naturalmente l'appetito vien mangiando. Tutto nel nostro interesse, sia chiaro.

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